L’autonomia è diventata licenza di far tutto

 

PROF COME RAGAZZI DELLA VIA PAL

 

di  GIANDOMENICO AMENDOLA

 

Periodo agostano a parte, il fatto che di università si parli non solo in occasione di uno scandalo è utile perché può consentire di isolare i problemi veri liberandoli dall’emotività del contingente. Va, perciò, messa tra  parentesi, perché scontata, la condanna dei docenti che, considerando l’università cosa propria, l’hanno riempita di parenti e sodali senza meriti apprezzabili tranne quelli rivendicati da vincoli di sangue o di interesse. Sono professori disonesti e basta. Anche irresponsabili per l’effetto devastante che può avere sugli studenti un dipartimento nel quale il cognome sulle targhette degli studi ( parlare di “studi” è una contraddizione in termini) è sempre lo stesso o,  quando cambia,  appartiene alla nuora o alla fidanzata  del figlio del disinvolto professore. La disonestà e il nepotismo sono, però, solo un effetto della crescente autoreferenzialità dell’università. Il problema è la sua tendenza ad agire assecondando principalmente gli interessi interni, grazie anche alla conclamata autonomia che ha spalancato il vaso di Pandora delle spinte corporative e localistiche.

La possibilità di disegnare in assoluta autonomia e libertà  l’offerta formativa della università ha scatenato la fantasia accademica che ha in pochi anni partorito centinaia di corsi dai titoli lunghi e dettagliati. Talvolta persino affascinanti ma privi dei necessari requisiti didattici (mancando di un numero minimo di buoni docenti, di biblioteche e di attrezzature) e di reali sbocchi occupazionali (è sufficiente pensare alle illusioni alimentate dai corsi che in varia maniera si richiamano ai beni culturali, alla moda o al turismo). L’autorità che protegge il consumatore dalla pubblicità ingannevole delle saponette dovrebbe cominciare a pensare anche ai ragazzi ingannati dalle roboanti promesse di alcune università di casa nostra.

Sempre in nome dell’autonomia è cambiato anche il profilo della docenza universitaria. Il modello più prossimo all’attuale situazione è quello dei “Ragazzi della Via Pal” dove tutti si erano promossi generali a fronte di un solo soldato semplice.

Negli ultimi anni la mancanza di posti di ricercatore, unita alla cattiva gestione dei pochi disponibili, ha tenuto fuori dall’università un’intera generazione di promettenti giovani studiosi. Nello stesso tempo, gran parte delle poche risorse disponibili sono state destinate a promuovere a livello superiore centinaia di docenti che, per motivi non sempre iniqui, erano fermi nella carriera. I ruoli sono stati così saturati verso l’alto ed alle obiezioni che spesso si levavano nel consiglio di facoltà su curriculum scientifici di basso livello, si rispondeva che la chiamata del modesto candidato locale sarebbe costata comunque molto meno di quella di un docente esterno di fama e qualità. Il “professore a prezzo di saldo” si è propagato rapidamente facendo abbassare di colpo il livello qualitativo di molte facoltà attivando una reazione a catena. Come dire poi di no a suoi colleghi, pure modesti ma dotati di buone parentele? E come, poi, rifiutare una cattedra a chi la pretendeva confrontandosi con l’ormai sistemato figlio del capo? E  così via…… Molto di tutto ciò è avvenuto nel chiuso delle autonomie e nell’indifferenza, talvolta complice, del mondo esterno. E se finalmente il famoso “territorio”  . istituzioni e società civile -  facesse un bilancio pubblico di ciò che le sue università stanno facendo, di ciò che hanno promosso e di ciò che hanno dato?