Un diverso rapporto sindacale nel pubblico impiego e nel privato per

migliorarne il funzionamento

 

L’accordo del 1993 sulla politica dei redditi ha fissato precisi paletti alla contrattazione nazionale che hanno dato, in generale, dei buoni risultati per quanto attiene il potere d’acquisto dei salari, rompendo la perversa spirale tra prezzi e salari con la discesa dei primi e l’allineamento dei secondi, attraverso il meccanismo dell’inflazione programmata che, sino ad un paio di anni fa ha prodotto, tra l’altro, un salutare e redditizio tracollo degli scioperi. Solo in quest’ultimo biennio, infatti, anche a causa di una non favorevole congiuntura economica mondiale, fortemente accentuata dalla tragedia terroristica dell’11 settembre, gli effetti di tale politica sono stati deludenti in termini di sovrabbondante e costoso stato di conflitto sociale, di produttività del lavoro e, soprattutto, di competitività internazionale di tutto il sistema produzione-lavoro. E’ auspicabile che la “concertazione” o il “consenso sociale” trovino le adeguate soluzioni per ripristinarne gli effetti positivi compromessi. C’è quindi bisogno di una revisione di quell’accordo, anche per necessariamente adeguarlo, dopo un decennio, alle mutate situazioni politiche nazionali e internazionali, all’espandersi del liberismo dei mercati e delle politiche comunitarie e transcontinentali, che richiedono un funzionamento dell’apparato pubblico sempre più pronto, efficiente ed efficare in ogni atto amministrativo, dal più semplice al più complesso, e una produttività aziendale che sa e può rapidamente adeguarsi all’innovazione e ai mercati. La denominazione del rapporto da “concertazione” a “consenso sociale” è già un primo corretto cambiamento, inteso a significare che non può più esserci, come c’è stato nel passato, il diritto di veto di un solo sindacato, per quanto forte, che possa produrre il blocco, assurdo, della politica governativa, e addirittura anche parlamentare, in tema d’economia, finanza e socialità. Questo per quel che attiene la vecchia concertazione nazionale.

Per la contrattazione territoriale o aziendale, invece, che deve puntare sulla produttività dell’apparato pibblico e dell’azienda, va rilevato, con lealtà e coraggio che, di fatto, è fallita, per un distorto rapporto sindacale tatticamente mirato ad una uguale tutela retributiva per tutti, indipendentemente dai meriti soggettivi, dall’impegno, dalla produttività, che occorre, invece, necessariamente incentivare, sia nel pubblico che nel privato. Premi, compensi aggiuntivi previsti proprio per incentivare la produttività sono stati, di solito, distribuiti a pioggia, vanificandone lo scopo e la finalità. La politica sindacale locale dell’egualitarismo e dell’appiattimento ha sempre premiato i peggiori dipendenti e mortificato i meritevoli. Il Sindacato non può e non deve adoperarsi per far riempire gli ufici e l’apparato amministrativo di enti e aziende con quadri e dirigenti di scarsa competenza e capacità, il cui unico titolo posseduto è l’iscrizione al Sindacato. Così facendo soddisfa solamente le immeritate aspirazioni di pochi e danneggia la collettività  nel suo complesso, appesantendo molto quegli uffici ed apparati amministrativi, rendendoli più costosi, meno efficienti, difficilmente gestibili. L’immagine di una burocrazia asfittica e inefficiente, di un apparato produttivo che non riesce a adeguarsi ai tempi, e si riflette negativamente sui diritti di tutti i cittadini utenti, infatti, non è data dalla massa dei dipendenti che fanno più o meno bene il loro lavoro d’ufficio, ma da quella minoranza che non lo fa ed è intoccabile, anzi premiata da una miope, ottusa e assurda tutela sindacale. Il Sindacato, così facendo, viene meno alla sua stessa ragione di essere. E’, quindi, indispensabile che il Sindacato riesca a capovolgere il rapporrto di tutela, là dove occorre, sapendo che, così facendo, la sua necessità sociale d’essere, esce rafforzata nel giudizio dell’opinione pubblica e nel rapporto aziendale, anche se è costretto a perdere alcuni iscritti. Il peso e la forza di un Sindacato non dipendono solo dalla numerosità degli aderenti, ma anche e soprattutto, dall’impegno del Sindacato nel rispetto delle norme morali, oltre che legisltaive, che regolano una ordinata società. “Leges sine moribus vanae” dicevano i nostri padri; il detto vale ancor più oggi, in una società complessa e soggetta a rapidi e profondi mutamenti per il contnuo e inarrestabile progresso tecnologico e l’innovazione che ne consegue.

Vi sono poi settori e comparti del pubblico impiego per i quali, addirittura, è impensabile una qualsiasi forma di contrattualizzazione nazionale e locale, pena l’asfissia del comparto. Il Sindacato su questi comparti non può insistere, come ha fatto sinora, per attivare una contrattualizzazione che servirebbe solo ad aumentare il numero dei propri iscritti ed avere un potere di rappresentaza nel comparto che oggi non ha, o lo ha in misura molto ridotta. Il comparto dei docenti universitari, quello della dirigenza, ne sono tipici esempi. Le OO.SS. da sempre insistono e premono per la contrattualizzazione del comparto della docenza universitaria. Questo obiettivo sindacale è un grosso e deleterio pericolo per l’Università italiana, che va evitato. Ha in sé, infatti, i germi dell’appiattimento e della negazione del merito soggettivo, con la conseguente nefasta uguaglianza di diritti, di doveri e di retribuzione rivelatasi negativa in ogni comparto del pubblico impiego e sicuramente incompatibile in quello della docenza universitaria, perché ogni docente ha un suo curriculum, un suo prestigio nazionale e/o internazionale, una sua personalità scientifica e didattica, una sua libertà di far ricerca e insegnamento costituzionalmente garantiti. Sono proprio queste libertà, questi elementi soggettivi caratterizzanti il singolo docente che non possono essere imbrigliati con una contrattualizzazione di comparto. Sarebbe un controsenso e si avrebbe sicuramente la morte per soffocamentio dell’Università. D’altronde basta guardarsi attorno in Europa e fuori d’Europa per rendersi conto che in nessun Paese la docenza universitaria, nel suo insieme, è contrattualizzata. Argomentazioni analoghe e più specifiche si possono fare anche per la dirigenza.

In conclusione, il Sindacato in una società democratica è stato, è e resta indispensabile. Non può quindi venire meno. Deve solo avere il coraggio di cambiare adeguandosi ai tempi. Deve cambiare i rapporti che crea nel pubblico e nel privato, deve cambiare la strategia che persegue, mirata al miglior funzionamento della società e alla tutela dei diritti di tutti  i cittadini e non solo dell’insieme degli iscritti o di una sua parte, deve cambiare la tattica adottata a tutti i livelli per l’attuazione della predetta strategia, deve essere sganciato da ogni carrozzone politico, deve non essere direttamente coinvolto nella gestione della strutture pubbliche e private. E’ quanto gran parte dei cittadini si aspetta da un Sindacato perché possa essere ritenuto ...”credibile” nella sua serietà.

 

Gallipoli, 3 luglio 2003                              prof. Alberto Pagliarini