STATO GIURIDICO O STATO CONFUSIONALE ?

 

La legge 168/89 voluta dall'allora ministro Ruberti,  concesse alle università quell'autonomia prevista dall'art. 33 della costituzione, articolo ignorato da tutti i governi e le legislature antecedenti. L'autonomia concessa non fu totale, come sarebbe stato preferibile, ma didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile (art. 6, comma 1). Nell'art. 16, comma 4, punto d) fu espressamente sancito che gli Statuti emanati dalle sedi universitarie, dovevano comunque prevedere “l'osservanza   delle norme sullo stato giuridico del personale docente,  ricercatore....”. Pertanto lo stato giuridico dei docenti universitari, cioè l'insieme delle norme che fissano diritti, doveri,  retribuzione e pensionabilità dei docenti, rimanevano escluse dall'autonomia universitaria. Nel corso degli anni è successo che, per effetto di una più o meno malintesa autonomia, le sedi hanno invaso la sfera dello stato giuridico dei docenti, con interpretazioni più o meno forzate di norme dello Stato riguardanti aspetti dello stato giuridico e, in particolare, retributivo e pensionistico. Si è così creata una giungla di diversificati diritti, doveri,  aspetti retributivi e pensionistici tali da poter dire che lo “stato giuridico” dei docenti universitari è ormai uno “stato confusionale”. Questa nota ha lo scopo di sottoporre  all'attenzione  dei ministri competenti, della CRUI, del CUN, delle Associazioni sindacali della docenza universitaria e  del mondo accademico,  la realtà dello “stato confusionale”, attraverso la disamina di alcune specifiche questioni, con l'intento che si attuino doverosi interventi mirati a ripristinare quell'uguaglianza dei diritti e dei doveri per docenti aventi lo stesso “status” indipendentemente dalla sede in cui operano. A seguito della legge sull’autonomia il Ministero non può intervenire con “disposizioni emanate con circolari”(art.6, comma 2).  Però anche una semplice indicazione di massima su interpretazioni della normativa da parte dell’ufficio Legislativo del MIUR, specie se accompagnata da una raccolta di sentenze della giustizia amministrativa o pareri di altre amministrazioni dello Stato sarebbe probabilmente sufficiente  a convincere singoli atenei ad adeguarsi alle procedure ritenute più corrette.

 

Assegno ad personam (Aap)

 Nella gran parte delle sedi l'Aap, attribuito ai docenti quando avanzano di carriera, in applicazione delle leggi 537/93 e 370/99 e ormai considerato non riassorbibile, pensionabile e non rivalutabile sia durante il triennio di conferma o di straordinariato, sia dopo il triennio e il ricalcolo dello stesso dopo la ricostruzione di carriera. Vi sono ancora sedi, come Bari, Foggia e qualche altra, dove l'Aap è considerato non riassorbibile durante il triennio, mentre la quota residua ricalcolata dopo il triennio è considerata  riassorbibile, con evidente danno retributivo e pensionistico per i docenti di queste sedi. Ciò avviene anche in presenza di un chiaro parere di non riassorbibilità fornito dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ragioneria Generale dello Stato, IGOP,  in data 29/2/2008, Prot. n. 0030493 in risposta a uno specifico quesito posto dall'università di Bari. Un mancato intervento chiarificatore inviato a tutte le sedi da un ministero competente, eviterebbe ai docenti di  ricorrere alla giustizia amministrativa per il riconoscimento di un diritto da tempo riconosciuto in gran parte delle sedi.

 

Riconoscimento assegni di ricerca nella ricostruzione di carriera 

Molte sedi, da più o meno tempo, riconoscono gli assegni di ricerca nella ricostruzione di carriera dei docenti. Sulla questione hanno dato parere favorevole il CUN nella seduta del 15/9/2005, il Ministero dell'Economia e della Finanze – Dipartimento per la Ragioneria Generale dello Stato – I.G.O.P. con nota del 17 ottobre 2006, prot. n. 0130131, nonché la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica – con nota del 26/11/2008, il MIUR con nota del 27/7/2008, prot. n. 2732 della Direzione Generale dell'Università, indirizzata al Rettore dell'Università Bicocca di  Milano con la quale il Ministero ha fatto proprio il parere espresso dal CUN, le Avvocature Generali dello Stato di Pisa e di Brescia su richiesta delle rispettive  università, la Direzione Centrale Pensioni dell'INPDAP con nota del 20/9/2007 prot. 9828 in risposta a un quesito dell'università di Verona, infine la sentenza del 23/7/2010 del TAR Campania favorevole al ricorrente per il  riconoscimento degli assegni di ricerca. Pur in presenza di tanti autorevoli pareri favorevoli al riconoscimento, diverse sedi  si ostinano a non riconoscerli con assurde motivazioni. Quale altro parere occorre per evitare che queste sedi (cito Bari ma ne esistono altre) pervicacemente neghino un evidente diritto con una penalizzazione sulla retribuzione e sulla pensione? Peraltro qualche sede comincia a riconoscere anche le borse di studio post dottorato attribuite, in seguito a regolare concorso, con decreto del rettore su fondi messi a disposizione dall'università, come accade per gli assegni di ricerca. Tali borse hanno le stesse finalità degli assegni di ricerca in termini di formazione ed avvio alla ricerca. Ovviamente la “confusione” si accresce ancor più. 

 

Riconoscimento servizio di tecnico laureato – sentenza Consulta n. 191/2008

In applicazione della sentenza della Consulta n. 191/2008, alcune sedi riconoscono ai ricercatori confermati il servizio prestato in qualità di tecnico laureato o funzionario tecnico o collaboratore tecnico ove sussistano i requisiti previsti nella predetta sentenza. Altre sedi limitano il riconoscimento del servizio solo a coloro che avevano la qualifica specifica di tecnico laureato con i requisiti previsti nella sentenza. Anche in questo caso il diritto sancito da una sentenza della Corte Costituzionale non è riconosciuto in tutte le sedi a tutti i soggetti che ne hanno titolo. Altro evidente caso di “stato confusionale” dello “stato giuridico”. Occorre adire le vie legali? Non basterebbe una circolare che chiarisca alle sedi l'esatta applicazione della sentenza predetta? Forse una circolare che non dia disposizioni ma si limiti a chiarire alle sedi l'esatta applicazione della sentenza predetta potrebbe bastare.

 

Età pensionabile per i professori  associati 

Con l'eliminazione del fuori ruolo e la non obbligatorietà della concessione, a domanda,  dei due anni di proroga in ruolo, i professori associati inquadrati con lo stato giuridico antecedente la legge Moratti 230/2005, sono posti in pensione, per raggiunti limiti di età, a 65 anni  nelle sedi che non concedono i due anni di proroga, a 67 anni in quelle che concedono i due anni di proroga. Per gli associati che hanno optato per la citata legge Moratti il pensionamento avviene al compimento del 68° anno di età per le sedi che non concedono i due anni di proroga in ruolo, per una forzata interpretazione del comma 17 dell'art. 1 della legge Moratti, e a 70 anni per le sedi che concedono i due anni di proroga. E' corretto un simile trattamento differenziato per figure che hanno la stessa anzianità anagrafica e spesso anche di servizio, la stessa qualifica, lo stesso “stato giuridico”, solo perché si trovano ad operare in sedi diverse?  Non ci vuol molto per normalizzare tanta Babele, occorre solo un po' di buona volontà, politica, amministrativa, di chiarezza procedurale applicativa di alcune norme, per ripristinare uno stato di diritto bistrattato.

 

 Art. 69 del DL 112/88 convertito con legge 133  del 6 giugno 2008

L'art. 69 prevede la riduzione del 2,5% una tantum per 12 mesi sul primo scatto biennale automatico dei docenti universitari maturato da gennaio 2009. Alcune sedi hanno fatto sapere ai docenti interessati che hanno maturato o stanno maturando lo scatto biennale nel 2010, di non poter  ripristinare il valore completo dello scatto allo scadere dei 12 mesi nel 2011, per effetto del blocco sino a dicembre 2013 delle retribuzioni percepite nel 2010 disposto dall'art. 9 comma 1 del D.L.   31/5/2010 n. 78. Ne consegue che la riduzione del 2,5% sullo scatto biennale maturato nel corso del 2010 non avrà la durata di 12 mesi prevista dall'art. 69 poiché resterà prorogata sino a dicembre 2013. Per i docenti interessati la riduzione avrà la durata di tre anni più i mesi interessati del 2010. Ciò è evidentemente iniquo e ingiusto sul piano amministrativo e dei diritti di soggetti aventi lo stesso “status”, trattati diversamente  solo perché hanno maturato lo scatto nel 2010 e non nel 2009. Occorre inoltre considerare alcune situazioni veramente assurde. Per un qualsiasi docente nella terza progressione economica, alla fine della carriera, quando gli aumenti biennali sono del 2,5% e la retribuzione mensile netta supera i 5.000 € per gli ordinari e i 4.000 € per gli associati, il danno è piuttosto modesto, in pratica il docente non gode dell'aumento del 2,5% per 3 anni e alcuni mesi, mantenendo, comunque, una retribuzione consistente. Per un giovane ricercatore  confermato nella prima progressione economica con una retribuzione mensile netta inferiore o di poco superiore a 2.000 €  evidentemente il danno e molto più consistente. Lo stesso danno, sia pure in misura più ridotta lo ricevono i giovani associati non confermati e quelli confermati   nella prima progressione economica  In tal modo gli effetti di una stessa norma sono molto più penalizzanti per i giovani ricercatori e i giovano docenti con basse retribuzioni rispetto  ai docenti anziani con alte retribuzioni. E' questo un trattamento ingiusto verso i giovani  che Governo e  Parlamento in qualche modo dovrebbero sanare.

 

Art. 9 comma 1 del D.L. 31/5/2010 n. 78

Questa norma congela le retribuzioni in godimento nel 2010  sino al 31/12/2013. Al di là del giudizio che si può dare sulla norma è necessario evidenziare la situazione veramente paradossale dei giovani ricercatori universitari non confermati inquadrati in ruolo in uno qualsiasi dei mesi del 2010 con una retribuzione mensile netta di 1.334 €. Costoro dopo un anno dovrebbero passare a una retribuzione mensile netta di 1.646 € pari al 70% di quella di un professore associato non confermato alla classe retributiva iniziale, concessa  dal precedente Ministro Moratti per ridurre la fuga di cervelli.. Per il blocco questi giovani ricercatori  non confermati continueranno per tre anni ad avere la misera retribuzione iniziale di 1.334 €. Sembra una beffa buffa ma, purtroppo è una realtà irragionevolmente assurda. Sarà difficile che un giovane ricercatore con talento e titoli accetti questa realtà. E' presumibile che decida di andarsene dall'Italia, in un altro Paese che valuti e apprezzi le sue potenzialità, retribuendole adeguatamente. Non c'è bisogno di alcun commento ma è indispensabile che i signori Ministri, ai quali la presente nota è inviata, eliminino questa evidente assurdità.

 

Fermo qui, per brevità,  la disamina delle questioni che evidenziano uno “stato giuridico” trasformato in uno “stato confusionale” per i docenti universitari. In effetti dalle numerose richieste di quesiti che mi pervengono da tutte le sedi, (sono ormai migliaia raccolte nel link “l'esperto risponde” sul mio sito http://xoomer.alice.it/alberto_pagliarini), ho rilevato tante altre questioni le cui procedure applicative e l'attribuzione di diritti risultano diversificati da sede a sede. Ne cito qualcuna: affidamento di insegnamenti e carichi didattici dei docenti (su questa questione occorrerebbe scrivere una specifica dettagliata nota per evidenziare puntualmente quanto è fissato dalle leggi vigenti e quanto da queste si discostino i regolamenti didattici di ateneo, in maniera più o meno forzata, creando, in tal modo, una vera giungla di doveri didattici); riconoscimento del servizio militare ai fini giuridici ed economici; scatto anticipato per la nascita di un figlio; riconoscimento di servizi prestati all'estero; aspettativa con o senza assegni per periodi di ricerca all'estero; riconoscimento dei servizi all'estero per i professori chiamati per “chiara fama” ed altri ancora tra i quali quello della retribuzione aggiuntiva dei medici universitari convenzionati con il SSR. Insieme al prof. Mauro Marchionni, Presidente della Commissione Medicina del CNU;  riteniamo opportuno fare alcune considerazioni su questa ultima importante questione.

 

La retribuzione aggiuntiva dei medici universitari in convenzione con il SSR

Questa questione è in piedi dal lontano 1999, prodotta dalla legge 517/99. La legge non ha trovato una univoca applicazione nelle varie Regioni e, addirittura nelle diverse sedi universitarie nella stessa regione. Non c'è stata e non c'è uniformità di trattamento economico su scala nazionale per il personale medico universitario che presta attività assistenziale a favore dell'AOU e del SSR. Le  sentenze ai diversi livelli giurisdizionali, emanate nel decennio, hanno solo reso più ingarbugliata la questione.  Oggi, docenti di medicina con analoghe anzianità di servizio assistenziale, di funzioni e di responsabilità hanno un trattamento economico anche fortemente differenziato da una ad altra sede universitaria. Una mia proposta che ha trovato ampi consensi, se realizzata, conseguirebbe il duplice obiettivo di uniformare su scala nazionale la retribuzione aggiuntiva dei medici universitari   rendendo il loro trattamento economico complessivo non inferiore rispetto a quello dell'analogo ospedaliero equiparato. La proposta poggia su un principio costituzionale, quello dell'art. 36 per cui “un  lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del suo lavoro” e su una delle leggi regionali più avanzate in materia di sanità, quella della Lombardia nella quale è previsto che “l'attività assistenziale dei medici universitari convenzionati non può essere inferiore alla metà di quella settimanale prevista per gli ospedalieri”. Ho proposto, pertanto,  che una specifica legge nazionale fissi la misura dell'attività assistenziale oraria settimanale al 50% di quella prevista nel CCNL degli ospedalieri e, conseguentemente, la retribuzione aggiuntiva dei medici universitari al 50% di quella dell'ospedaliero equiparato. Si può anche stabilire una ritenuta fissata da ogni Ateneo a suo favore, operata sulla retribuzione aggiuntiva dei propri medici convenzionati, compresa tra una percentuale minima e una massima fissate dalla legge.  La legge, quindi, aggancerebbe, il quantum retributivo e di attività assistenziale dei medici universitari, dal giovane ricercatore non confermato all'anziano ordinario,  a uno strumento, quello del CCNL degli ospedalieri, valido su scala nazionale, al di fuori dell'autonomia regionale e universitaria. Con l'ulteriore vantaggio che la retribuzione aggiuntiva dei medici universitari si adeguerà automaticamente nel tempo alle variazioni contrattuali degli ospedalieri e, inoltre, scompare l'attuale anomalia dei giovani medici universitari che svolgono attività assistenziale senza essere retribuiti. Tale proposta evidentemente elimina ogni possibile contenzioso giudiziario, ampiamente diffuso nel decennio e, inoltre, non richiede commissioni e defatiganti riunioni per trovare un accordo, difficile da raggiungere, sui criteri di ripartizione delle somme messe a disposizione dall'AOU per i medici universitari e per la determinazione delle percentuali da attribuire su ciascuna indennità.   Se  i Ministri destinatari della presente nota  ritengono attuabile la predetta proposta,  la ultra decennale questione potrebbe essere finalmente risolta, con innegabili vantaggi per lo stesso SSR, per le AOU e per le università. Potrebbe essere questo un elemento su cui costruire una migliore, più efficace, efficiente e meno costosa organizzazione del servizio assistenziale. 

 

Questa nota, con il pieno consenso del Presidente prof. Franco Indiveri e del Segretario prof. Paolo Gianni dell'Associazione sindacale della docenza CNU, è inviata ai Ministri dell'Economia e delle Finanze, del MIUR, dell'Innovazione e della Funzione Pubblica e a quello della Salute. E' inoltre inviata alla CRUI, al Presidente del CUN, ai Presidenti delle Associazioni sindacali della docenza CIPUR e USPUR,  alla lista di discussione UNILEX.

 

Bari, 10 novembre 2010

 

 

prof. Alberto Pagliarini       Presidente della Commissione Nazionale Sindacale del CNU

 

prof. Mauro Marchionni     Presidente della Commissione Medicina del CNU