ANALISI  CRITICA SUI COMPORTAMENTI DEL MONDO UNIVERSITARIO

 Dall'ampio dibattito sviluppatosi sulla lista di discussioni UNILEX si rileva che molti docenti sono convinti che quanto è accaduto con i governi precedenti e sta accadendo con questo governo, sia  dovuto alla miopia della politica e dei suoi addetti. A causa di tale miopia  l'università e la ricerca non sono inserite al giusto posto  nello sviluppo del Paese e della società. Questo è vero ma, a mio avviso,  la miopia è solo una componente, non sufficiente  a motivare  i comportamenti negativi per l'università, assunti dai politici e da tutti i governi succedutisi, nessuno escluso. Un'altra  componente, molto rilevante, è invece dovuta alla scarsa  credibilità dell'istituzione universitaria, della sua gestione e  organizzazione della ricerca.   Da alcuni lustri i tanti scandali amplificati dai media, le diverse analisi dei mali e degli sprechi dell'università italiana pubblicate da tanti  autori, hanno condizionato negativamente  gran parte dell'opinione pubblica e l'intera classe politica. Il condizionamento è  cresciuto nel tempo, perché nessuna governance ha voluto avviare una coraggiosa autocritica mirata a frenare il crescente degrado dell'istituzione. Pochi, in verità,  io tra questi, hanno lanciato un grido di allarme, in tante occasioni,  verbalmente e per iscritto, a rettori, presidi, sindacati della docenza.. Purtroppo quel grido non solo è rimasto  inascoltato ma dava addirittura fastidio. Tant'è che, d'accordo con il compianto e caro amico Tristano Sapigni, si dette vita a una raccolta “sui mali e sprechi dell'università italiana”; raccolta che è andata avanti per diversi anni sul mio sito e quello del CNU nazionale nel link “usi e costumi”. E' stato tutto inutile.

 Una decina di anni fa si tentò di dar vita a un unico sindacato forte della docenza universitaria, partendo da una Federazione messa su dalle tre associazioni sindacali della docenza CIPUR, CNU, USPUR, denominata FEDERUNI. Io ed altri, in verità pochi, la consideravamo come base di partenza per la successiva costruzione di un unico sindacato che doveva   sostituire la fungaia di sindacati universitari.  Il pluralismo in democrazia è certamente salutare, ma quando è un pluralismo di idee, non di corporazioni. Anche il disegno della FEDERUNI e, quindi, del sindacato unico della docenza, è fallito. Nessuno dei tre sindacati ha voluto farsi promotore di una autocritica del sistema universitario, ritenendo che non era loro compito. Ognuno dei tre sindacati ha voluto mantenere in piedi il suo orticello di peso politico zero, per cui anche la cosiddetta intersindacale,  forzosamente messa su, come somma di tanti orticelli a peso zero, ha dimostrato e dimostra di avere  peso politico zero.

 Intanto, la crisi, i mali e gli sprechi dell'università hanno continuato a crescere, allontanando sempre più l'istituzione da una qualsiasi credibilità. Si è arrivati a scrivere: “l'università italiana è malata, più si finanzia, peggio funziona, perché  aumentano gli sprechi”; “L'università non è credibile perché  puramente autoreferenziale; i suoi operatori non sono soggetti a nessun controllo da parte della governance; le facoltà e gli organi di governo decidono irresponsabilmente spese, anche non sostenibili e, in alcune sedi anche fuori legge per lo sfondamento del tetto di spesa per il personale” imposto dalla legge; e tante altre verità incontrovertibili.

 I concorsi, da me e da tanti altri definiti “autentiche ipocrisie formali burocratiche” che, in gran parte dei casi servono solo “a coprire l'infamia dei comportamenti”, come ha scritto Beppe Severgnini, si sono dimostrati un fallimento, comunque organizzati, nazionali o locali, con commissioni elette, sorteggiate, miste. In molti casi è dilagata la parentopoli ed è stato escluso ogni criterio di merito. Si è arrivati a svolgere concorsi per un posto di ricercatore con la partecipazione di un solo concorrente: il predestinato. Gli altri potenziali concorrenti erano invitati a non partecipare.

Gli scarsi finanziamenti per la ricerca sono sempre stati distribuiti a pioggia, senza alcun controllo sull'uso e sui risultati ottenuti, pur sapendo che, da alcuni, i fondi assegnati sono stati utilizzati soprattutto per “turismo scientifico in giro per il mondo”,  locuzione appositamente coniata.  Sono proliferati a dismisura il numero di computer e di stampanti, comprati sui fondi di ricerca  e rapidamente cambiati come fossero fazzoletti usa e getta. In molti gruppi di ricerca si è istituito un tacito accordo di scambio di conferenzieri tra sedi diverse, discretamente pagati dalla sede ospitante sui fondi per la ricerca, con spesso inesistenti risultati delle conferenze effettuate.

La riforma del 3 + 2 Berlingueriana, varata senza alcun limite imposto per legge, ha consentito alle facoltà di creare, o meglio di inventare, una valanga di corsi di laurea triennale, magistrale, di master, facendo crescere in modo abnorme la spesa, perchè nessun  rettore e nessun organo amministrativo ha saputo dire no anche a richieste chiaramente anomale, fuori da ogni logica scientifica, didattica e di formazione professionale. Spesso  sono stati creati  duplicati di corsi già esistenti, mascherati da una diversa denominazione. L'offerta degli atenei è fortemente aumentata, spesso a scapito della qualità.

Anche per motivi di clientelismo politico sono proliferate diverse nuove sedi universitarie, spesso create dal nulla e rimaste nel nulla sul piano scientifico, dell'organizzazione didattica e dell'offerta di servizi agli studenti. I finanziamenti utilizzati per questa abnorme proliferazione, con vantaggi irrilevanti per tutti, esclusi i beneficiati delle nuove cattedre, si sarebbero potuti più adeguatamente  utilizzare  per potenziare facoltà e corsi di sedi  già esistenti. Quasi tutte le grandi sedi hanno dato vita a una serie di sedi satelliti, spesso prive di tutto e con un corpo docente in gran parte pendolare, accrescendo sempre di più le spese e danneggiando gli studenti sia della sede madre che di quella   satellite, costretti a vedere raramente i propri docenti. Sono stati fatti  sdoppiamenti di Facoltà e istituiti  numerosi nuovi corsi, il cui vero fine mascherato era, soprattutto, quello  di  creare nuovi posti da mettere a concorso per la sistemazione di personale interno e/o per il soddisfacimento di esigenze familistiche.

Tutto ciò è andato avanti per anni sino a quando, per gli scandali che hanno coinvolto diverse sedi,  mediaticamente  amplificati, alcune sedi, coinvolte negli scandali, hanno varato un codice etico che prevede, tra l'altro, la non compatibilità della presenza nella stessa struttura di un nuovo docente di qualsiasi qualifica che abbia rapporti di parentela sino a un certo grado, con altro docente di ruolo nella stessa struttura. Ovviamente vale per i nuovi, non per i tanti già interni.

 Questa carrellata sui mali e gli sprechi dell'università italiana, certamente non esaustiva, può far capire, anche ai più reprobi,  perché la credibilità dell'istituzione universitaria è così bassa nell'opinione pubblica, nei media, in tutte le forze politiche,  come hanno dimostrato i governi succedutisi di centro-destra e di centro-sinistra. Tutti i governi hanno  assunto provvedimenti anche  punitivi verso il corpo docente,  rigettati senza esito dal mondo accademico, con prelievi forzosi sulla retribuzione e abolizioni di diritti quesiti. Sono state operate  riduzioni dei finanziamenti  ordinari che hanno messo in crisi diverse sedi, riduzioni in parte, e solo in parte, giustificate dalla crisi economico-finanziaria e dal mastodontico debito pubblico che attanaglia il Paese. I provvedimenti punitivi e le riduzioni dei finanziamenti sono serviti a ratstrellare esigue somme,  senza peraltro  portare alcun beneficio finanziario al dissesto dello Stato, ma hanno solo peggiorato l'istituzione univetrsitaria.  Quasi tutto il mondo accademico e sindacale ha sempre detto no, rigettando, anche aspramente,  ogni provvedimento di riforma proposto ed in parte attuato dalla destra e dalla sinistra. Il no continua anche con questo governo. Solo più recentemente la CRUI, con le sue recenti linee-guida,  e  qualche sede timidamente, hanno posto la questione della necessità di rinnovamento dell'istituzione universitaria, della sua governance,  della riduzione degli sprechi e del contenimento delle spese. E' già qualcosa! Ma è ancora poco!

Occorre, a mio avviso, come ho detto e scritto da molto tempo, che  dall'interno dell'università, da tutte le sue componenti e dalla stessa governance, venga effettuata una coraggiosa e seria autocritica, accompagnata da proposte modificative concrete, alcune attuabili autonomamente in breve tempo, tali da evidenziare non solo la volontà di rinnovamento,  sin qui solo  dichiarata, ma un concreto cambiamento rispetto ai comportamenti del passato (proliferazione di sedi decentrate, duplicazione di corsi, sdoppiamento di facoltà, attivazione di corsi triennali e magistrali inutili, concorsi con vincitori in diversi casi già predestinati,  diffusa parentopoli, mancanza di controlli sulle spese per la ricerca; effettivo controllo sullo svolgimento dell'attività didattica e tutoriale; severità di esame e giudizio per il rilascio di autorizzazioni ai docenti a tempo pieno, per l'esercizio di attività professionale, senza aver effettuato alcun accertamento sull'incompatibilità e l'eventuale contrasto con i doveri istituzionali; e tante altre abitudini comportamentali del mondo universitario, quasi tute conseguenza di una totale autoreferenzialità e di assenza di responsabilità dei vari organi decisionali). Le modifiche di rinnovamento autonomamente assunte, pubblicizzate attraverso i media, potrebbero ripristinare la credibilità nell'opinione pubblica dell'istituzione universitaria e dei suoi docenti, ridotta ormai al lumicino. La credibilità ripristinata  darebbe sicuramente al mondo accademico quella  forza e quella legittimazione necessarie alla sua protesta, oggi non condivisa da gran parte dei cittadini e dei politici, appunto perché proveniente da un mondo poco credibile. In tal modo,  governo, parlamento e politici sarebbero costretti a cambiar registro, considerando l'istituzione universitaria nel giusto posto che le compete nella società, anche ai fini dello sviluppo del Paese. Alcune cose si possono realizzare anche rapidamente. Ne indico una tra le tante. In ogni sede alcuni corsi di laurea  possono essere accorpati; mentre quelli con pochi studenti, carenti di attrezzatura didattiche e di docenti, con sbocchi professionali quasi inesistenti, possono essere dsattivati. E' possibile che ciò avvenga? Si, se c'è una reale volontà di cambiamento e non di conservazione dell'esistente, superando  i diversificati interessi delle diverse anime che convivono nell'università, facendo prevalere l'interesse dell'istituzione, degli studenti, delle famiglie e del Paese. In caso contrario  si andrà avanti con le proteste a efficacia zero e con gli straccetti di riforma che ogni governo e ogni ministro si inventeranno. Straccetti di riforma che solo in parte tendono a quietare le proteste, ma in gran parte  mirati ad annullare quanto, qualche volta di buono, aveva fatto il governo e il ministro precedente. E', questa, una costante deleteria della italica  politica tra due fazioni nemiche, la cui credibilità, non solo per i suoi costi astronomici e i privilegi di “casta”,   ma anche per questo modo di legiferare, è quasi nulla presso la grande massa  di cittadini che non vivono di politica, a fronte di quell'enorme stuolo di  politici, molti  dei quali  vivono  solo di politica e pochi per la politica.

 

In conclusione: la situazione dell'università italiana è fortemente critica. Le concomitanti azioni: di riduzione del FFO da parte dello Stato; di non riduzione degli sprechi e delle spese da parte delle università che, anzi continuano ad accrescerle, si stanno rivelando disastrose per alcune sedi. A questo punto occorre necessariamente invertire le concomitanti azioni: lo Stato deve necessariamente contenere la riduzione del FFO, per quanto possibile con la situazione conomico finanziaria e la crisi  mondiale in atto; le università devono responsabilmente ridurre sprechi e spese. Solo così si potrà   evitare il collasso dell'istituzione. Se ciò avverrà, occorrerà  evitare le occupazioni e, soprattutto il blocco dell'anno accademico che danneggerebbe studenti e famiglie e potrebbe produrre indesiderati strascichi giudiziari, con interventi anche d'ufficio della magistratura. Si potrà aprire, allora,  un dialogo costruttivo sull'innovazione dell'università futura, anche prendendo spunto dalle linee-guida elaborate dalla CRUI.

 

 

 

Bari 21 ottobre 2008                                                      Alberto Pagliarini