L’UNIVERSITA’
STA MORENDO, MA Più SI INVESTE MENO FUNZIONA
Dopo aver letto e pienamente condiviso l’articolo di Giandomenico Amendola
“L’autonomia è diventata licenza di
far tutto – PROF COME RAGAZZI DELLA VIA PAL”, di giovedì 17 agosto
Anche l'epistemologo Michel Serres, Accademico di Francia, ha
recentemente affermato: "l'università sta morendo, ma più s’investe
meno funziona" (dalla pagina 26 "Cultura" del Corriere della Sera
di lunedì 14 agosto 2006) . Allora perché rettori, sindacati della
docenza e docenti non iniziano, come vado dicendo da anni, a fare autocritica,
utilizzando in senso positivo e corretto l'autonomia sinora utilizzata per i
propri tornaconti? Dovrebbero cominciare a monitorare e valutare, seriamente e
responsabilmente, ciascun corso di studio e ciascun master attivato, per
ridurne l’abnorme numerosità ad un livello accettabile, nel reale
interesse della collettività, del mondo del lavoro e delle professioni. Un
serio monitoraggio evidenzierebbe quali corsi e quali master vanno potenziati e
quali disattivati. I primi a trarne vantaggio sarebbero gli studenti che
sono i principali utenti dell'università, spesso ignorati e sacrificati
dagli interessi, non sempre leciti, di chi è preposto ad addottrinarli ed
educarli. Le stesse istituzioni ne trarrebbero gran vantaggio perché le
forti economie realizzate dalla disattivazione di un buon numero di corsi di
studio e di master, potrebbero essere utilizzate per potenziare e
migliorare l'organizzazione degli studi e della ricerca, rendendola
più efficace ed efficiente, più adatta al mondo delle professioni e al
mercato internazionale del lavoro.
Ma ciò può farsi? So bene quanto è difficile, per le inevitabili
resistenze interne e i forti interessi personali e di gruppo in gioco. Ma,
a ben pensare, è forse questo l'unico modo per ricuperare la credibilità
dei politici, dei media e dell'opinione pubblica, ormai quasi interamente
perduta. Solo dopo il necessario ricupero ha senso e diventa
lecito chiedere finanziamenti, non prima; sarà più facile ottenerli.
Occorre, allora, che qualche ateneo, con coraggio, avvii questa procedura non
autoreferenziale, insolita per il mondo accademico. Se questo accadrà, gli
altri atenei dovranno necessariamente adeguarsi. Spero e auspico che ciò
accada, nell'interesse dell'università e del Paese.
“Il Paese ha bisogno di una riforma culturale e morale” scrisse il grande
pensatore Gramsci. Oggi più di allora tale riforma è necessaria. Gran parte dei
docenti non sono faccendieri, svolgono puntualmente, seriamente e compiutamente
i loro compiti istituzionali. Da costoro dovrebbe venire la spinta per avviare
magistralmente la predetta riforma; si potrebbe, allora, sulla scia
dell’autoriforma attuata dall’università, innescare nell’intero Paese
quel processo riformatore auspicato da Gramsci,
Se l’università non dovesse muoversi su tale linea, allora è compito
doveroso e precipuo del Governo e del Ministro organizzare ed effettuare il
necessario monitoraggio di tutti i corsi di studio e dei master attivati,
imponendo la disattivazione di quelli che non corrispondono ad un insieme di
puntuali, precisi, seri e reali requisiti prestabiliti, ben diversi da quelli
oggi esistenti, facilmente aggirabili.
10 settembre
2006