L’UNIVERSITA’ STA MORENDO, MA Più SI INVESTE MENO FUNZIONA

 

Dopo aver letto e pienamente condiviso l’articolo di Giandomenico Amendola “L’autonomia è diventata licenza di far tutto – PROF COME RAGAZZI DELLA VIA PAL”, di giovedì 17 agosto 2006, mi è capitato di leggere l'articoletto  “A caccia di una strana tesi di laurea “di Milena Gabanelli del 19 agosto 2006 e mi sono chiesto:  i rettori, i sindacati della docenza,  gran parte dei docenti ritengono che il centrodestra ieri, il centrosinistra oggi, abbiano voluto e vogliono affossare l'università italiana riducendone i finanziamenti. E' questa la realtà? E' davvero così? La mia risposta è: assolutamente no! Infatti, gran parte dei politici della maggioranza e dell'opposizione, di ieri e di oggi, insieme ai media e all'opinione pubblica sono convinti che tanto più s’investe del denaro in questo tipo d’università, meno funziona. Maggiori disponibilità finanziarie, infatti, consentono di aumentare  gli sprechi,  inventando costosi corsi di studio fasulli il cui unico scopo è quello di soddisfare le bramosie di potere di gruppi di docenti e la possibilità, per gli stessi, di sistemare docenti non sempre validi, specie quando si attua uno sfrontato familismo, con il solo scopo di accrescere il loro potere accademico.

 

Anche l'epistemologo Michel Serres, Accademico di Francia, ha recentemente affermato: "l'università sta morendo, ma più s’investe meno funziona" (dalla pagina 26  "Cultura" del Corriere della Sera di lunedì 14 agosto 2006) .  Allora perché rettori, sindacati della docenza e docenti non iniziano, come vado dicendo da anni, a fare autocritica, utilizzando in senso positivo e corretto l'autonomia sinora utilizzata per i propri tornaconti? Dovrebbero cominciare a monitorare e valutare, seriamente e responsabilmente, ciascun corso di studio e ciascun master attivato,  per ridurne l’abnorme numerosità ad un livello accettabile, nel reale interesse della collettività, del mondo del lavoro e delle professioni. Un serio monitoraggio evidenzierebbe quali corsi e quali master vanno potenziati e quali disattivati.  I primi a trarne vantaggio sarebbero gli studenti che sono i  principali utenti dell'università, spesso ignorati e sacrificati dagli interessi, non sempre leciti, di chi è preposto ad addottrinarli ed educarli. Le stesse istituzioni ne trarrebbero gran vantaggio perché le forti economie realizzate dalla disattivazione di un buon numero di corsi di studio e di master, potrebbero essere utilizzate per potenziare e migliorare  l'organizzazione degli studi e della ricerca, rendendola  più efficace ed efficiente, più adatta al mondo delle professioni e al mercato internazionale del lavoro. 

 

Ma ciò può farsi? So bene quanto è difficile, per le inevitabili resistenze interne e i forti interessi personali e di gruppo in gioco. Ma, a ben pensare, è forse questo l'unico modo per ricuperare la credibilità dei politici, dei media e dell'opinione pubblica, ormai quasi interamente perduta. Solo dopo il necessario ricupero ha senso e diventa lecito chiedere finanziamenti, non prima;  sarà più facile ottenerli. Occorre, allora, che qualche ateneo, con coraggio, avvii questa procedura non autoreferenziale, insolita per il mondo accademico. Se questo accadrà, gli altri atenei dovranno necessariamente adeguarsi. Spero e auspico che ciò accada, nell'interesse dell'università e del Paese.

 

“Il Paese ha bisogno di una riforma culturale e morale” scrisse il grande pensatore Gramsci. Oggi più di allora tale riforma è necessaria. Gran parte dei docenti non sono faccendieri, svolgono puntualmente, seriamente e compiutamente i loro compiti istituzionali. Da costoro dovrebbe venire la spinta per avviare magistralmente la predetta riforma; si potrebbe, allora,  sulla scia dell’autoriforma attuata dall’università, innescare nell’intero Paese quel  processo riformatore auspicato da Gramsci,

 

Se l’università non dovesse muoversi su tale linea, allora è compito doveroso e precipuo del Governo e del Ministro organizzare ed effettuare il necessario monitoraggio di tutti i corsi di studio e dei master attivati, imponendo la disattivazione di quelli che non corrispondono ad un insieme di puntuali, precisi, seri e reali requisiti prestabiliti, ben diversi da quelli oggi esistenti, facilmente aggirabili.

 

10 settembre 2006 

Alberto Pagliarini